TRA IL BLASCO E LA STEVE ROGERS BAND
La Steve Rogers Band tra hard e heavy
CHITARRE gen. 1991

di Fabio Marchei
 

 

 

Quando si parla di chitarristi italiani c'è sempre un pizzico di orgoglio da parte nostra: è un vero piacere intervistare qualche musicista "nostrano", se non altro perchè non si deve faticare con la lingua straniera... Il piacere poi è triplo se il musicista in questione, o i musicisti come in questo caso, sono anche simpatici. Di Maurizio Solieri abbiamo già parlato su Chitarre (n. 23, febbraio 1988) quando era ancora legato al nome di Vasco Rossi. ora, a distanza di più di due anni, lo incontriamo di nuovo in una Steve Rogers Band più compatta che mai e a pochi mesi dall'uscita del nuovo album "Sono donne", al fianco del vocalist Massimo Riva. Comincia a parlare Massimo.

Massimo Riva - Allora, il disco ha una storia molto felice, anche se è venuto fuori da alcune "delusioni". Mi spiego meglio: l'anno scorso abbiamo fatto un disco un po' diverso da quello precedente, perchè eravamo stufi dell'immagine che ci avevano affibbiato; ci avevano detto che eravamo demenziali e altre sciocchezze di questo genere. Inoltre avevamo preso una strada un po' particolare dal punto di vista musicale - campionatori, batterie elettroniche, computer. Quando siamo andati in tournée - che è stata piuttosto lunga e con alti e bassi (molto alti e molto bassi) - ci siamo sentiti più uniti di prima: sul palco ci trovavamo bene, suonavamo bene, insomma abbiamo ritrovato quell'entusiasmo che ci ha poi suggerito la nuova linea da seguire, cioè dare l'immagine vera di noi, riuscire a essere maggiormente noi stessi, senza troppi artifici. Il disco è stato realizzato senza computer e senza campionatori, tutto in diretta, facendo le prove come prima di un concerto. Tutto questo è successo tra ottobre e aprile: in ottobre abbiamo fatto i provini, a gennaio abbiamo fatto le prove, a febbraio siamo entrati in sala e ad aprile è uscito il disco. Comunque, ripeto, la cosa importante è stata proprio quella di registrare tutto in diretta, il che ha conferito all'album un suono molto più compatto.
Maurizio Solieri - Ci eravamo fatti coinvolgere dalla moda del campionatore, ci si lascia sempre un po' attirare dalle nuove mode. E registrare tutto in digitale vuol dire che poi, in effetti, ti ritrovi notti intere a lavorare con il computer per sovrapporre suono su suono, magari ottenendo un risultato non soddisfacente - per esempio un suono di batteria non adatto a un tipo di musica come il rock. Abbiamo inciso due dischi in questo modo, "Alzati la gonna" e "Steve Rogers Band". Invece quest'anno abbiamo voluto fare un disco veramente rock, come già facevamo dieci anni fa, cioè suonando tutti in diretta in uno studio specializzato per questo, dove già avevamo lavorato con Vasco anni fa. Abbiamo provato per quindici giorni e poi abbiamo registrato, con questo sistema siamo arrivati a fare anche tre basi al giorno. Avevamo da sceglieie tra una ventina di pezzi, e alla fine, abbiamo optato per quelle canzoni che più si addicevano alla nuova linea da seguire.
- Alcuni brani di quesio disco sono acustici: chi ha suonato la chitarra acustica?
M.R. - L'ho suonata io, e non perchè sia il mio ruolo, ma perchè ho scritto io i brani in questione con l'acustica, e tu sai che l'autore di un pezzo ne interpreta l'esecuzione molto meglio di qualsiasi altro. Ho suonato una vecchia dodici corde con tutte le corde quasi arrugginite, poi ultimamente mi sono detto: "Ma sì, torniamo agli anni settanta!" Così ho fatto i debiti per comperarmi una Martin...
- Tu, Maurizio, quando si paria di acustica storci il naso?
M.S. - No, affatto. Comunque mi piace soprattutto il rock, non me la sono menata molto neanche con il jazz o con cose sperimentali, per un certo periodo mi sono effettivamente avvicinato al jazz, al rock-jazz, però mi ha fatto schifo, mi sono dovuto veramente violentare. Era il '75 dopo la Mahavishnu orchestra, e pensavo di andare a riscoprire i vecchi padri, ma era una cosa assurda perché nel jazz esiste un lessico da universitari: non so se ultimamente le cose siano un po' cambiate, però se allora non conoscevi esattamente quel linguaggio non ci capivi nulla, perlomeno nelle pubblicazioni italiane. Poi ho cominciato poco a poco a capirne la chiave di lettura e mi sono anche appassionato, ma alla fine - dopo qualche anno - sono tornato al rock da cui ero nato, e che mi piace più di ogni altro genere musicale. Però attenzione, non mi piace tutto ciò che è rock: per esempio i gruppi inglesi non mi piacciono molto, a parte alcune eccezioni, e trovo che spesso siano sopravvalutati dal pubblico. Preferisco quel rock che non piace molto in Italia- ad esempioi Whitesnake fanno delle bellissime canzoni, mi colpiscono abbastanza. È logico che mi piacciano anche i classici tipo Bowie, i Pink Floyd; i Police, Sting, tutti quelli che scrivono belle canzoni, ma non posso dire di apprezzare quei gruppetti inglesi che arrivano con le Rickenbacker trent'anni dopo...
- E i gruppi italiani?
M.R. - Ci sono gruppi in Emilia che fanno buona musica, e questo fa piacere: ancora una volta l'Emilia dimostra di essere molto vitale in tal senso, anche se alla fine le case discografiche fanno uscire soltanto un certo tipo di cose già collaudate, con percentuale di rischio zero. In Italia il problema esiste soprattutto per i gruppi, perchè le spese sono più alte.
M.S. - Le case discografiche continuano a tirare fuori soprattutto cantautori (stavolta Solieri arriccia il naso) per risparmiare magari sulle spese di viaggio... Purtroppo, in Italia, oggi è così: non ci sono locali dove i gruppi possano suonare, on c'è una promozione adeguata. C'è però anche da aggiungere che molti gruppi sbagliano a non cantare in italiano: è abbastanza ridicolo a mio avviso cantare in inglese se sei italiano, anche se cantare il rock in inglese sembra dare risultati migliori.
M.R. - Per quanto riguarda gli spazi per i concerti, bisogna sfruttare spazi dove la gente è tanta, quindi feste di piazza, feste dell'Unità. Non siamo una banda da folla oceanica, per cui è necessario trovare gli spazi giusti e non è facile, inoltre bisogna indovinare il prezzo giusto in quelle situazioni che sono più adatte per una band come la nostra, Non abbiamo mai avuto un'agenzia che ci procurasse questi spazi, e così quest'anno l'abbiamo cercata apposta: volevamo fare feste dell'Unità e abbiamo cercato un'agenzia che ci garantisse questo tipo di situazione. Le cose si fanno piano piano: abbiamo dovuto imparare tutto da soli, tutto quello che non abbiamo imparato nei dieci anni precedenti, perchè siamo sempre stati all'oscuro di tutto. Si può dire che siamo ripartiti da zero. Abbiamo un ottimo rapporto con Guido Elmi, il nostro produttore attuale, che è anche il produttore di Alberto Fortis: secondo noi ha una marcia in più rispetto ad altri e si è specializzato molto nel lavoro di studio.
M.S. - Quando Elmi ha ascoltato il nostro materiale, ci ha subito suggerito un'identità ben precisa e ha ribadito che questa volta dovevamo fare un disco rock, anche a livello di missaggio. Quindi, con dei modelli abbastanza precisi in mente, ha avuto ben chiara la scelta delle canzoni, noi abbiamo fatto il resto, anche se in effetti gli arrangiamenti erano già pronti, perchè quando facciamo i provini i pezzi sono già abbastanza completi, sono fatti con il dodici piste e quindi di materiale ce ne è già abbastanza. Poi Elmi magari ha aggiunto le tastiere, con le quali lavora molto. In conclusione il suo apporto è stato molto valido: abbiamo lavorato insieme molto bene e ci ha messo in condizioni di lavorare come piace a noi, specie in un momento in cui eravamo un po' sbandati: bene o male il dopo Vasco poteva non essere un momento facile...
M.R. - Invece è stato il momento in cui abbiamo cominciato a vedere qualche soldo! Prima arrivavamo con l'acqua alla gola fino all'estate: eravamo pagati come "orchestrali" durante le tournée, i soldi ce li spendevamo tutti subito e poi per il resto dell'anno stavamo a casa. Invece, appena ci siamo separati da Vasco, abbiamo cominciato a vivacchiaie un po' tutto l'anno. Quindi, cominciare a lavorare così è stato un buon affare sia a livello economico che a livello artistico.
- Mi sembra che in questo album il rock sia particolarmente "metallico".
M.S. e M.R. -Noi lo definiamo hard.
- In effetti ho esagerato, però il suono hard è piuttosto quello di Blackmore, quello di tanti anni fa.
M.S. - L' hard rock c'è ancora, per esempio gli Aerosmith fanno hard rock. A me personalmente l'heavy metal fa schifo, i gruppi metal non mi sono mai piaciuti; mi piacciono le canzoni: non mi interessa il riff virtuoso a tutti i costi, quella è roba per ragazzini già i Guns n' Roses sono meglio di altri...
M.R. - D'altronde la gente ha bisogno di queste cose.
M.S. - Soprattutto ha bisogno di avere dei miti "freschi".
M.R. - I Led Zeppelin non ci sono più.
M.S. - Probabilmente la gente ha bisogno di ascoltare gruppi come i Led Zeppelin, però con musiche un po' più fresche, scritte e suonate da imitatori, che magari hanno vent'anni e il capello biondo che fa colpo sulle ragazzine!
- Una domanda per Massimo: ultimamente ti stai concentrando soprattutto sulla voce e trascurando la chitarra?
M.R. - Non è che sto trascurando la chitarra: dal vivo la suono, suono la chitarra per più della metà del concerto. Anzi, ti dirò che la suonerei di meno, anche se mi piace moltissimo suonarla, ma tu sai che quando si canta e si suona contemporaneamente, devi distribuire le tue energie e così - in certi pezzi - tendo a sacrificare la chitarra in favore di una migliore riuscita vocale e scenica.
- C'è qualche brano che avete creato soltanto con due chitarre, tu e Maurizio, proprio come si faceva una volta?
M.R. - Sì, "Animo" è nato propio con due chitarre: eravamo lì a fare le prove...
M.S. - ... Io ho tirato fuori un riff, poi Massimo si è inserito con l'inciso ed è venuto fuori il pezzo.
- Che mi dite della collaborazione con Alberto Fortis?
M.S. - È stato grazie a Guido Elmi, che come abbiamo già detto è anche il suo produttore. Insomma, frequentando la sala mi sono trovato ad ascoltare i provini di Fortis, che erano circa una quarantina, fra l'altro io Fortis non lo conoscevo personalmente. Quindi Guido mi ha fatto sentire i pezzi e mi ha chiesto di metterci le chitarre. Ho cercato di suonare in maniera un po' diversa, non so se questo dal disco si capisce, comunque mi sono tenuto più calibrato, ho messo anche le chitarre acustiche, in definitiva ho fatto una cosa che non facevo da un sacco ditempo ed è stata una bella esperienza.
- Maurizio, quando ti trovi in studio per incidere le chitarre su un brano, cerchi di basarti sulla tecnica oppure lasci che la mano corra sulle corde guidata dal tuo istinto?
M.S. - Io conosco un solo modo per adattarmi musicalmente alle canzoni, che è il mio, pur rispettando la canzone e il genere musicale. Anche nei nostri pezzi o in canzoni fatte da me, non è che faccio soltanto a modo mio: lo stile è il mio, ma mi piace ascoltare anche il parere degli altri. Io propongo, poi il produttore o l'autore della canzone possono mediare la proposta, di modo che alla fine si sia tutti d'accordo. Magari, tanti anni fa ero il classico chitarrista che diceva: "Tutti pronti, arriva l'assolo di chitarra!" E sparavo duecentocinquantamila note. Adesso non più, per me suonare è anche fare un po' di tutto: è bella la ritmica, è bello l'arpeggio, la rifinitura...
- Nel gruppo, interferite sul modo di suonare dell'altro oppure non osate?
M.R. - Sì, siamo in democrazia, anche per quanto concerne la scelta dei pezzi. Ad esempio Guido riveste un ruolo importante da questo punto di vista, però è anche successo che sull'album sia finito un pezzo che piaceva a noi, mentre a Guido non piaceva: è il caso di"Hey Man", che fra l'altro è anche il 45 giri.
M.S. - Guido lo riteneva un pezzo troppo easy, come in effetti era in fase di provino. Ma noi ci abbiamo lavorato parecchio in seguito. Era un pezzo un po' beatlesiano, non così heavy come poi è venuto fuori...
- Ah, ti ho fregato, hai detto "heavy", hai detto "heavy"!

A questo punto potevo far terminare l'intervista facendo finta di aver
preso in castagna l'amico Solieri, ma non è stato così. Dopo quell'esclamazione mi sono messo l'elmetto, ma non ce ne è stato bisogno perché Maurizio - sorridente e rassicurante - mi ha perdonato la battuta. Intendeva dire "heavy" nel senso di heavy rock e non di heavy metal, e mi ha ripetuto per la seconda volta che il "metallo" fine a se stesso non gli piace. Ha ribadito giustamente che è soltanto andato avanti con i suoni e con lo stile heavy rock, che ovviamente è cambiato rispetto a vent'anni fa. Gli piaceva molto Page, ma adesso che fa Page? ora gli piace Lukather, Steve Vai, Gary Moore, persino Joe Perry. Ma secondo me, sotto sotto...