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Confesso
che l'ho ascoltato con rinnovato e crescente interesse. Una melodia avvolgente
arricchita da sonorità prettamente rockeggianti e una voce secca,
decisa: c'è di che esserne orgogliosi. Un album conferma, più
che rivelazione. La prova tangibile che, oggi, l'unico gruppo onestamente
e meritatamente in grado di fregiarsi del titolo di rock band è
il quintetto emiliano Steve Rogers.
Tutti i musicisti danno il meglio di sé gettando veramente il cuore
oltre gli ostacoli, ma i due poli magnetici della S.R. Band rimangono
Massimo Riva, lead vocals, e l'axeman Maurizio Solieri. E non solo perchè
autori di tutti i brani, ma in quanto artisti completi e stilisticamente
personali: dote rara quanto preziosa. Brani come "Uno di Noi", "Uno In
Più" e "Tanto è lo stesso", per citarne alcuni a caso, risplendono
infatti di luce propria e non riflessa, come sempre più sovente
capita. L'assolo in "Tanto è lo stesso" e il magico "lntro"
fungono da magnifica vetrina per il talento chitarristico di Maurizio
Solieri, oggi uno dei più quotati sulla piazza.
Le sue due appendici, una Schon e una Larrivée, intessono una intricata
ragnatela di suoni mentre le dita scorrono veloci e preci.
se sulla tastiera: un'anima rock pulita, sincera, tecnicamente precisa.
Talento ed entusiasmo che non sono sfuggiti al Rossi più famoso
d'Italia, primo e più grande estimatori di Maurizio, allorchè
si è trattato di dar forma ad un rientro atteso da oltre due anni.
Vasco ha dunque chiesto il suo aiuto suoi solchi di "Liberi Liberi" e
lui lo ha ricambiato con una performance ad altissimo livello, basta prestare
orecchio al solo della canzone che dà titolo all'album per rendersene
conto.
Un riconoscimento meritato quanto atteso, che "Alzati La Gonna" aveva
preannunciato con solenne squillar di trombe lo scorso anno e che il tour
attuale sancisce definitivamente.
Ma com'è Maurizio chitarrista? Quale il suo rapporto con lo strumento
e qualii segreti di una freschezza sonora e creativa invidiabili?
Lo abbiamo chiesto allo stesso Solieri, dopo averlo immortalato con la
sua Schon ed aver ascoltato insieme "Steve Rogers Band".
GUITAR CLUB: Un disco che porta come titolo il solo nome del
gruppo è sempre importante. Segna una svolta, un traguardo raggiunto:
un punto di partenza. È capitato anche alla Steve Rogers Band?
MAURIZIO SOLIERI:
In parte è così. Dopo "Alzati la Gonna" avevamo bisogno
di un disco che ci rendesse totalmente giustizia. Abbiamo profuso tutte
le nostre forze sui solchi di "S.R. Band" e il risultato ci gratifica
in massimo grado: questa è veramente la Steve Rogers Band. É
fin troppo facile e scontato affermare che l'ultimo nato è sempre
il migliore, il più amato ma, credimi, è così. Personalmente,
il mio guitar job è frutto di interminabili ore di studio e di
un lavoro certosino sulla singola nota. Sono estremamente soddisfatto
e non cambierei nulla a cose fatte.
G.C.:
Non ami le mezze misure, i compromessi musicali, gli abbozzi. ll tuo carattere,
deciso e schietto, ti ha sempre portato a dare il meglio: passione ed
entusiasmo che grondano da ogni brano, a cominciare dal prologo strumentale
"lntro".
M.S.: Non prenderlo come un atto di
superbia musicale, non lo è. La chitarra è sempre stato
lo strumento principale, nel rock, anche se c'è stato un periodo
in cui le tastiere hanno cercato di usurparne il trono. Mi è sembrato
giusto introdurre il disco con una sorta di commento sonoro. Un solo abbastanza
spontaneo, come del resto tutto quello che faccio. Le cose migliori nascono
spesso quando incidi le basi, senza poi aggiungervi vari overdubs.
G.C.:
La tua carriera rock è quasi ventennale sebbene tu abbia solo 36
anni. Andiamo a riscoprirne e analizzarne i passi, dalla prima chitarra
all'amicizia con Vasco alla Steve Rogers Band.
M.S.: ll primo strumento, se cosi
vogliamo chiamarlo, mi fu regalato da mia madre ed era una Eko da £
8000. Allora, da bambino, la mia grande passione era il disegno ma quando
ricevetti questa chitarra fu come una folgorazione, cominciai a giocarci
cercando di tirare fuori dei suoni, preparazione ovviamente nulla e un'accordatura
improvvisata.
Andai poi circa due anni a lezioni di teoria musicale da un maestro del
mio paese (è nato a Concordia in provincia di Modena) ma non mi
servi a molto, così smisi e iniziai a suonare da solo diventando
autodidatta. Pian piano imparai alcuni accordi, le scale e i remake di
brani famosi: ho praticamente ascoltato di tutto, dai Ventures ai Champs
ai Beatles, quei gruppi a tre chitarre di cui mio fratello aveva i dischi
comprati direttamente in America. Naturalmente Elvis, Stones, Animals
e qualcosa degli Shadows di Hank Marvin.
G.C.:
Poi, la grande scoperta dei suoni distorti.
M.S.: Un momento importante. Dal Jeff
Beck Group di "Truth" e "Beck Ola" al Jimi Hendrix di "Electric Ladyland"
li ho digeriti veramente tutti, sino alla nausea. Il lato tecnico e le
sue immense possibilità mi hanno sempre interessato, grazie alla
tecnologia applicata allo strumento hai la possibilità di ottenere
una gamma di suoni incredibili e praticamente illimitata.
G.C.:
La Steve Rogers Band è stato il primo gruppo professionale in cui
hai militato?
M.S.: Sino a 24 anni ho sempre studiato
e quindi l'attività musicale si limitava ad alcune seratine, piccoli
spettacoli. Ho avuto un trio, con cui suonavo Hendrix, Cream e Stones:
basso, chitarra e batteria. Era il '67 o il '68, mi pare. Se parliamo
invece di lavoro a livello professionale, iniziai quando un mio amico,
il quale era stato in collegio con Vasco Rossi, mi parlò della
radio che aveva aperto con Vasco a Zocca (Punto Radio). Nel 1977 Vasco
era già un divo, un personaggio in Emilia Romagna. Cosi quando
finii il militare mi unii a loro per un anno. È in quel periodo
che nasce il nostro sodalizio. Lui inizia a scrivere delle canzoni ed
io le arrangio, le costruisco musicalmente. Per quanto riguarda invece
la Steve Rogers Band, si forma nel 1979 al tempo di "Colpa di Alfredo".
ll nome, come saprai, nasce da una battuta mia e del nostro produttore
Guido Elmi e allora i cartelloni dicevano testualmente "Vasco Rossi e
la Steve Rogers Band in tour". Per noi è però ancora una
specie di scherzo, una battuta spiritosa: nulla di più. Poi, gradatamente,
la cosa prende forma e cominciamo a vivere di vita propria. Del primo
lineup siamo rimasti io e Beppe Riva più il tastierista Mimmo Camporeali
(dal 1980) mentre gli altri sono venuti con il tempo. Gallina, il bassista,
ha suonato con Vasco e la Nannini ed è entrato nella SRB durante
la tournée del 1984 insieme a Daniele Tedeschi.
G.C.:
Parliamo di Solieri chitarrista, un breve curriculum dei tuoi strumenti,
sino all'accoppiata odierna Schon-Larrivée.
M.S.: Nell'arco degli anni ho avuto,
partendo appunto dalla Eko di cui sopra e a cui attaccavamo un basso e
un microfono, una Telecaster con un Vox AC 30 (nel 1970) che ricordo comprai
da un amico ad un prezzo buono ma che per me, allora, era inestimabile.
Poi è toccato ad alcune Strato, una Framus e nel 1976 ad una Chet
Atkins; un periodo, intorno al 1975, in cui ero flippato per il jazz e
il country rock: da McLaughlin e Pat Metheny alla Mahavishnu Orchestra.
Purtroppo dovetti vendere la Chet Atkins, ancor oggi me ne pento perchè
era originale degli anni Sessanta, per una Telecaster Custom per poi arrivare
alle Les Paul, una De Lux ed una Standard, sino ad un paio di anni fa.
Oggi suono una Stratocaster Custom che mi sono fatto costruire da un liutaio
di fiducia su mie precise indicazioni: manico Fender e corpo in acero
massiccio e peso superiore al normale equipaggiata con Seymour Duncan,
Floyd Rose: ultimamente gli ho fatto cambiare tastiera e manico. Poi una
Charvel con 22 tasti di cui gli ultimi sei incavati e la nicchia sotto
la leva ampliata per poterla tirare al massimo (è un cultore della
leva, dagli albori) all'insù. Per finire, ho un contratto di endorsment
con la Schon e la Larrivée. Come amplificazione, ho usato Marshall
per una vita ed ora lo divido con Randall perchè quello è
il sound che mi piace: incazzato, decibel e grinta. Per le cose pulite
mi affido invece ai Fender, sempre i migliori in questo campo specifico.
Ultimamente ho provato un ADA, quel preamplificatore valvolare con già
28 suoni forniti dalla casa: un suono più caldo, pastoso. ll mio
segnale è il più possibile pulito, almeno nei limiti del
realistico, perciò come effetti uso un chorus e un overdrive.
G.C.:
Come corde sei un gibsoniano fedelissimo.
M.S.: Si, sebbene tutti mi ridano
dietro. ll metallaro oggi usa le GHS, altrimenti è squalificato:
le ho provate, solo che sono sottili e non vanno affatto bene per il mio
tipo di action, ho bisogno di un feel particolare nella mano. Le mie Gibson
hanno scalatura 008 011 014 022 028.
G.C.:
Cosa pensi, oggi, degli eroi della chitarra di un tempo?
M.S.: Molti ragazzi mi chiedono un
giudizio sui Deep Purple del dopo-reunion: ebbene, sono dei vecchi elefanti.
Blackmore mi fa quasi pena, diciamo la verità. Album come "In Rock"
e "Made In Japan" rimangono pietre miliari, sono il primo ad ammetterlo,
ma il tempo passa per tutti. Amo moltissimo i chitarristi melodici, ad
esempio adoro Brian May dei Queen, e trascuro quelli dediti al culto della
tecnica fine a se stessa: dopo due pezzi, diventano noiosi e inconsistenti.
ll solo fa parte della canzone, non deve essere avulso dal contesto della
melodia. Personalmente, non ho mai usato il solo per dimostrare quando
sono bravo, per dire "ascoltate ed applaudite". Negli anni ho capito,
anche perchè sono autore oltreché musicista, che il brano
ha una sua struttura ben precisa, composta di varie tessere che vanno
ad incastrarsi. Noi siamo una band, non un solista più un backing
group. Tornando ai gusti musicali, continuo ad apprezzare Eric Clapton.
Ho visto "Homeboy" e la colonna sonora, seppur nulla di speciale come
del resto il film, è stata composta con estremo gusto e traspira
felicità ed entusiasmo mentre il povero Jimmy (Page) sono dieci
anni che non ne imbrocca una.
Dal vertiée creativo ed esecutivo di "The Song Remains The Same"
ne é passata di acqua e l'anno scorso, quando mi è capitato
di vedere alla televisione lo show per il quarantennale della Atlantic,
mi sono quasi messo a piangere: il solo di "Heartbreaker", fatto da un
dilettante, forse sarebbe riuscito meglio. Scordato dal primo pezzo e
non del tutto sobrio, ho sentito una stretta al cuore.
G.C.: Che ne pensi di Steve Ray Vaughan?
M.S.: Bravissimo, uno dei pochi che
va oltre il blues inteso in senso stretto. ll blues è una grande
passione e le mie preferenze vanno ai "cattivi" come Johnny Winter, il
fratello Edgare i White Trash. Attualmente seguo Steve Vai, Eddie Van
Halen e i due Def Leppard per il modo di concepire l'arrangiamento delle
chitarre: suoni giusti, senza esagerare. ll mio grande amore, già
da un paio di anni, rimane comunque Steve Stevens e, a ruota, Gary Moore:
Stratocaster, 3 pickup, la levetta e una bravura infinita. Gente come
Paul Mc Cartney, un pilastro della musica mondiale, non ha bisogno di
fare il mito, la star ed è questo che mi piace. Quando gli dici
"tu sei un eroe, un mio idolo" rimangono quasi sorpresi e ti ringraziano
anche, come mi è capitato l'anno scorso a S. Remo con Lukather
dei Toto. Disponibilità e umiltà in quanto intelligenza.
G.C.: L'attuale album della Steve
Rogers Band riflette in pieno queste tue convinzioni.
M.S.: Siamo sempre stati i più
feroci critici di noi stessi, ogni disco deve avere qualcosa più
del precedente. Nel corso degli anni Vasco è riuscito a tirarmi
fuori il meglio, capire molte cose e metterle in pratica. Sull'album uso
la mia vecchia Fender insieme alle Schon e Larrivée e credo si
possa definire un lavoro ritmico ed estremamente responsabile. Molti i
cori ed essenziali i soli, per dare il giusto spazio agli altri strumenti
e alla ritmica, davvero essenziale. L'appuntamento è dal vivo,
nel corso della nostra tournée che andrà avanti per tutta
l'estate.
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